C'è una data che segna uno spartiacque nello sdoganamento del fascismo da sinistra. Coincide con il discorso pronunciato da Luciano Violante il giorno del suo insediamento come presidente della Camera. A rileggerlo oggi si rivelano tutte le lacune di quell'interpretazione che già allora sorprese (in negativo)

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E allora il fascismo?

Avete notato che non si parla più di immigrazione? Improvvisamente, dal 5 marzo, sembra non essere più un problema. Silenzio quasi assoluto. Sbarchi? Sicurezza? Crimini? Finito. Qualcuno giustamente dirà: ah, ma non si parla più neanche di fascismo (e antifascismo)! Vero. Ma per un motivo diverso: perché il fascismo, quello del senso comune, della mentalità, di certi valori e idee, di un certo modo di pensare e stare al mondo, è semplicemente entrato in Parlamento. In una versione pericolosa: non celtiche, teste rasate e saluti romani, ma globuli neri che scorrono nelle vene delle persone, senza farsi vedere, a prima vista. Questo fascismo, cioè, ha avuto la sua canalizzazione, e non per merito di Casa Pound e Forza Nuova, che hanno preso una bella botta, ma della Lega (e di Fratelli d’Italia). Non tutta la Lega rappresenta questo tipo di immaginario, certo, ma una parte cospicua sì. Insomma, non è che il fascismo è sparito dal dibattito perché non c’è più la strumentalizzazione del tema, come nel caso dell’immigrazione, ma perché è riapparso in Parlamento, nelle sue nuove forme, quelle del terzo millennio. E non è mai sparito all’interno del corpo della società italiana, e chissà se mai lo farà.

Un assist, un aiuto a fare in modo che il fascismo non venisse (e non venga) impacchettato, analizzato e studiato come fenomeno storico e come memoria e monito, ma che continuasse (e continui) a fluire nel sangue degli italiani, è venuto da quel maledetto processo di sdoganamento iniziato in una data precisa, il 10 maggio 1996.

Lo sdoganamento

Sdoganare. Per la Treccani significa «svincolare merci dalla dogana, pagando il relativo importo e assolvendo alle formalità prescritte». Ma anche, con uso figurato, «nel linguaggio politico e giornalistico, riabilitare, riscattare, dare nuova legittimazione a persone, forze politiche o ideologie che in precedenza erano state discriminate, escluse da una partecipazione attiva alla vita politica»; per estensione, «rendere socialmente accettabile un comportamento precedentemente condannato, censurato».

La prima questione politica associata a sdoganare che viene in mente è l’ingresso dei fascisti tra le “merci” politiche accettabili e legali. C’erano anche prima, i fascisti, certo; ma una sorta di pudore democratico li teneva in disparte: non li si invitava da nessuna parte, non li si andava a trovare a casa loro, non li si ammetteva nel gioco istituzionale, nei dibattiti aperti e in libri e riviste. Sì, c’era Almirante e il Msi, ci sono stati gli anni settanta e gli scontri animati anche da gruppi e gruppetti di estrema destra e il terrorismo nero, stragista e non, alimentato da pezzi deviati dello Stato (con la S più che maiuscola) e sfruttato a dovere con la strategia della tensione. Ma in fin dei conti i fascisti stavano fuori dalla democrazia. Ora non è più così.

Beninteso, non è che siano diventati democratici i fascisti; è che ora non solo, direttamente, si presentano alle elezioni (con scarso successo, per fortuna), manifestano e fanno proseliti, ma, indirettamente, sono entrati, anzi rientrati, nei programmi elettorali, nel linguaggio e nello spirito di altri partiti non dichiaratamente fascisti (la Lega, come abbiamo detto) e di tanti individui: che poi è la stessa cosa, perché la domanda alimenta l’offerta. Hanno oltrepassato la dogana, seminando dove più, dove meno, e raccogliendo bei frutti succosi.

Ma quando è stata oltrepassata la dogana? Chi lo ha permesso? Berlusconi ha avuto un ruolo fondamentale: ha stretto alleanza elettorale e di governo, già dal 1994, con gli eredi del Msi, cioè Fini e soci, e Fini, a sua volta, ha provato a trasformare il Msi in un qualcosa di destra un po’ alla francese, perfino repubblicana. E giù Ministri, Sottosegretari, Presidenti di Regione. Chi si richiamava a Benito, più o meno espressamente, con agile capriola è piombato dentro il Palazzo. Tutto questo è successo di là. Ma di qua, cos’è successo? Qualcuno ha eretto barricate? Qual è stata la risposta allo sdoganamento proveniente da destra?

Il discorso di Violante alla Camera

Il 10 maggio 1996, Luciano Violante viene eletto Presidente della Camera dei Deputati. Pugliese d’adozione, magistrato, docente universitario, deputato del Pci dal 1979, Violante milita, nel 1996, nel Pds, che contribuisce alla vittoria dell’Ulivo di Prodi. Il 10 maggio, al quarto scrutinio, con 316 voti su 609, accede allo scranno che fu di Pietro Ingrao e Nilde Iotti, succedendo alla poco rimpianta Irene Pivetti. E pronuncia un discorso di insediamento che è un po’ il padre dello sdoganamento da sinistra. Così lo ricostruisce il portale storico della Camera:

«[Luciano Violante] afferma la necessità di investire innanzitutto sulla scuola e sulla formazione dei giovani, come precondizione essenziale allo sviluppo e alla competitività dell’Italia. Passa poi ad esaminare le emergenze del Paese a partire dalla “questione settentrionale”, evidenziando tuttavia che pur nelle loro peculiarità esse sono tutte facilmente riconducibili all’incapacità dello Stato di erogare servizi adeguati ai cittadini e alle imprese. Per correggere la rotta Violante propone innanzitutto di ridurre drasticamente il numero delle leggi, la cui inflazione compromette il principio della certezza del diritto. […] Si esprime, infine, a favore di un federalismo solidale, che salvaguardi l’unità del Paese, faticosamente e dolorosamente conquistata attraverso le due grandi vicende della storia nazionale: il Risorgimento e la Resistenza, che auspica diventino le basi di una memoria collettiva condivisa».

Il sito della Camera è un po’ parsimonioso, perché Violante non rivolge un generico invito all’unità nazionale, di storia e di territorio. Va oltre: perché dopo aver affermato, testualmente, che «dobbiamo sforzarci di costruire uno Stato efficiente, garantista ed autorevole», sostiene che «a differenza di altri importanti paesi europei, non abbiamo ancora valori nazionali comunemente condivisi». Infatti, prosegue il neo Presidente della Camera, «le due grandi vicende della storia nazionale, il Risorgimento e la Resistenza, hanno coinvolto solo una parte del paese e solo una parte delle forze politiche».

E fino a qui, nulla quaestio. Ma c’è di più: «Oggi del Risorgimento prevale un’immagine oleografica e denudata dei valori profondi che lo ispirarono»; effettivamente, sembra essere così. «La Resistenza e la lotta di liberazione corrono lo stesso rischio e, per di più, non appartengono ancora alla memoria collettiva dell’Italia repubblicana». Su questo, i dubbi sono molto forti: come sarebbe che non appartengono alla memoria collettiva dell’Italia repubblicana? La Costituzione non viene, semplicemente, da lì? Violante poi si fa una domanda: «Mi chiedo, colleghi, me lo chiedo umilmente, in che modo quella parte d’Italia che in quei valori crede e che quei valori vuole custodire e potenziare nel loro aspetto universale di lotta alla tirannide e di emancipazione dei popoli, non come proprietà esclusiva, sia pure nobile, della sua cultura civile o della sua parte politica, mi chiedo – dicevo – cosa debba fare quest’Italia perché la lotta di liberazione dal nazifascismo diventi davvero un valore nazionale e generale, e perché si possa quindi uscire positivamente dalle lacerazioni di ieri».

Ma la lotta di liberazione dal nazifascismo non è già un valore nazionale e generale? Comunque, la parte d’Italia citata da Violante dovrebbe evitare di fare proprio quello che poi il neo Presidente afferma: «Mi chiedo se l’Italia di oggi – e quindi noi tutti – non debba cominciare a riflettere sui vinti di ieri; non perché avessero ragione o perché bisogna sposare, per convenienze non ben decifrabili, una sorta di inaccettabile parificazione tra le parti, bensì perché occorre sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e delle libertà (Applausi)». (Applausi: la Camera saluta con un consenso questo passaggio. In realtà, come riporta Radio Radicale, ad applaudire sono soprattutto i deputati del centrodestra, con Mirko Tremaglia, ex “ragazzo di Salò”, che arriva alla commozione; ma certo il centrosinistra non ha fischiato, anzi).

Continua Violante: «Questo sforzo, a distanza di mezzo secolo, aiuterebbe a cogliere la complessità del nostro paese, a costruire la liberazione come valore di tutti gli italiani, a determinare i confini di un sistema politico nel quale ci si riconosce per il semplice e fondamentale fatto di vivere in questo paese, di battersi per il suo futuro, di amarlo, di volerlo più prospero e più sereno. Dopo, poi, all’interno di quel sistema comunemente condiviso, potranno esservi tutte le legittime distinzioni e contrapposizioni».

«Se vincevano i nazisti finivamo impiccati»

No, non siamo d’accordo; col senno di poi, vedendo quello che succede oggi, ancora meno d’accordo. Perché dovremmo interrogarci sulle ragioni “dei vinti”? C’è bisogno? Non le conosciamo, le loro ragioni? C’è veramente necessità di andare a vedere cos’era la Repubblica di Salò, chi erano i repubblichini, di quali orrendi crimini si sono macchiati, da chi erano appoggiati (dai nazisti, lo diciamo per gli smemorati)? Gente che era ancora fascista dopo il 25 luglio, dopo l’entrata in guerra, dopo le leggi razziali: la crema dei fascisti. E dobbiamo «sforzarci di capire i motivi per i quali migliaia di ragazzi si schierarono dalla parte di Salò»? Ma che bisogno c’è? Se vedo un elefante, come faccio a dire che non è un elefante? Ho bisogno di chiedere a qualcuno, di approfondire, di sgranare gli occhi per vedere meglio? Un elefante è un elefante, punto.

Certo, Violante parla di «inaccettabile parificazione tra le parti» e di «sforzarsi di capire senza revisionismi falsificanti». E ci mancherebbe. Ma, signor ex Presidente della Camera, se la sentirebbe di pronunciare oggi quel discorso? Non pensa di aver fatto qualche danno nell’iniziare quello sdoganamento da sinistra che è parte in causa del revival neofascista a cui abbiamo assistito prima del 4 marzo e dell’incorporamento di voti e valori fascisti nella Lega? Parte in causa: ovviamente, il revival e il fascioleghismo non sono responsabilità diretta della sinistra, ma non aver continuato ad erigere barricate e, in più, aver contribuito a smontarle, è stato e continua ad essere un errore etico, civile e politico e un’azione quantomeno complice.

«Anche noi della montagna eravamo giovani e ignoranti e mossi dai più svariati motivi personali e dalle casualità, ma una cosa ci era molto chiara: se vincevano i nazisti finivamo impiccati o in fuga verso remoti rifugi. Non ci venga a dire, onorevole Violante, che i ‘ragazzi di Salò’ queste cose non le sapevano». Queste furono, all’epoca, le parole di Giorgio Bocca. E lei, signor ex Presidente, qualche domanda se l’è fatta?

In copertina, uno striscione esposto in piazza san Babila, a Milano, il 25 aprile 2007. Foto tratta da wikipedia e rilasciata in licenza Creative Commons
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Ugo Carlone
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