La democrazia partecipativa è una risposta alla crisi odierna e ai percorsi basati sulla sola rappresentanza. Perché le politiche pubbliche siano rispondenti ai bisogni reali delle comunità, bisogna includere nei processi decisionali chi normalmente è senza voce: anche i bambini. L’esperienza di Coriandoline (a Correggio, in Emilia) ne è una dimostrazione.
Perché ascoltare i bambini?
I bambini possiedono esperienze, conoscenze, opinioni e idee che appartengono tipicamente alla loro condizione e che si fondano sul loro vissuto. Il loro contributo ai processi decisionali è essenziale rispetto alle situazioni specifiche che li riguardano, ma anche nelle scelte politiche che, indirettamente, ricadono su di essi e sulla loro vita quotidiana. Una risorsa aggiuntiva, per gli adulti, nel prendere le decisioni. Al tempo stesso, l’ascolto dei minori è importante anche per il loro sviluppo personale, per acquisire nuove capacità, per aumentare la stima di sé, per allontanare la sensazione di impotenza spesso vissuta e per accrescere il senso di responsabilità rispetto alle azioni e alle scelte che decidono di compiere. Molto spesso, però, la partecipazione dei minori non viene incentivata e, talvolta, viene propriamente ostacolata, motivando questa presa di posizione con il fatto che i bambini non hanno sufficiente competenza o esperienza. Eppure, secondo Lansdown, “anche un bambino piccolo è in grado di dire che cosa gli piace o no della scuola e spiegarne i motivi, o di avere idee su come rendere le lezioni più interessanti, oppure di offrire assistenza ad altri bambini […] di dare un contributo alle questioni che lo riguardano, ammesso che riceva il sostegno necessario e le informazioni adeguate e che gli sia consentito di esprimersi con gli strumenti appropriati, come disegni, poesie, teatro, fotografie, oltre che con normali discussioni, colloqui e attività di gruppo”.
Nel corso della storia, il minore è stato visto come una “cosa” che, bisognosa e dipendente dalle cure dei soggetti adulti, deve essere plasmata ed educata, e non come un cittadino portatore di diritti ed autentica ricchezza da sviluppare, come comunemente siamo portati a pensare al giorno d’oggi. Solo nel novecento l’interesse per i diritti del bambino comincia a riguardare anche lo Stato e le istituzioni sovranazionali (ovviamente questo non è un fenomeno di portata globale, ma riguarda unicamente le società occidentali): in particolare, attraverso la realizzazione del diritto all’educazione, all’istruzione, alla salute. Nonostante ciò, nel tradizionale sistema giuridico, ha continuato a permanere e prevalere una prospettiva assistenziale nei confronti di bambini e adolescenti, ritenuti non in grado di curare i propri interessi, la cui responsabilità viene affidata alla potestà genitoriale e allo Stato, a scapito della loro emancipazione, della loro partecipazione e dello sviluppo della loro personalità.
Solo nel 1989, con l’adozione della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e l’introduzione al diritto di ascolto, avviene un importante cambio di paradigma nel modo di vedere il minore: da “oggetto” pressoché inutile, sminuito, trascurato, e sovente sfruttato, semplice destinatario passivo di politiche assistenziali, a “soggetto” portatore di diritti, seppur ancora non in modo attivo e autonomo. Per la prima volta, vengono riconosciuti, accanto ai diritti di protezione, anche quelli per la promozione come cittadino: il bambino ha diritto di esprimere la propria opinione e di essere ascoltato nei processi decisionali che lo riguardano, come, ad esempio, nella scelta relativa al destino in seguito al divorzio dei genitori, ma anche su altri temi importanti (trasporti urbani, alloggi, ambiente, istruzione, assistenza, salute); e gli adulti, nella loro veste di genitori, di professionisti, di personaggi politici e di insegnanti, hanno il dovere di tenere in adeguata considerazione le opinioni dei più piccoli e di stimolare l’espressione del loro punto di vista, su tutti gli argomenti che li riguardano. Di fatto, è necessario offrire al minore, oltre alla tutela, anche occasioni di crescita e progressive opportunità di autodeterminazione, nella convinzione che la comunità sociale possa trarne un arricchimento della qualità e dell’efficacia delle decisioni pubbliche.
Urbanistica partecipata: il quartiere Coriandoline
Uno dei settori dove il coinvolgimento dei più piccoli nei processi decisionali partecipativi è possibile è quello della cosiddetta urbanistica partecipata, ovvero la progettazione di luoghi che riguardano la parte principale della vita di un bambino (per esempio la scuola, il gioco, la casa). In Italia, a partire dagli anni novanta, hanno preso il via numerose iniziative che hanno favorito la consapevolezza del ruolo educativo e formativo della città; hanno riconosciuto ai bambini il ruolo di cittadini attivi e consapevoli, in grado di creare e progettare città accessibili e a misura di bambino; hanno avuto come obiettivo la riqualificazione urbana e sociale, l’avvio di processi sostenibili e partecipati per il miglioramento della qualità di vita dei bambini, dei ragazzi e delle loro famiglie. Una delle più interessanti esperienze di partecipazione, durata più di un decennio, è quella del progetto “Coriandoline – le case amiche dei bambini e delle bambine”, ideato proprio a partire dai desideri dei bambini e frutto di un intenso lavoro di ricerca e di progettazione sviluppato da Andria Cooperativa di Abitanti, nata proprio con lo scopo di gestire la domanda di abitazioni e i progetti di edificazione, in collaborazione le Amministrazioni Comunali di Correggio e di Rio Saliceto (RE).
Dai siti www.coriandoline.it e www.andria.it è possibile ricostruirne il percorso. Tutto nasce nel 1995, quando viene avviata una ricerca che coinvolge 12 scuole del paese, 700 bambini, 50 maestre, 2 pedagogiste e altre 20 persone tra architetti, geometri e ingegneri: il materiale prodotto dalla ricerca viene sistemato, classificato e ordinato in una mostra, che ha coinvolto le scuole e l’intera comunità. La seconda parte della ricerca prevede un evento simbolico in cui i bambini occupano fisicamente la piazza di Correggio con una moltitudine di case di cartone (personalizzate da ognuno di loro) e si assumono il compito di occuparsi della città. Nel 1999 viene pubblicato “Il Manifesto delle Esigenze dei Bambini”, ovvero un decalogo di come dovrebbe essere una casa secondo il parere dei più piccoli. Le idee e i suggerimenti dei bambini sono stati sintetizzati in dieci requisiti: la casa deve essere trasparente (per guardare fuori), dura fuori (sicura e protetta), morbida dentro (calda e accogliente), bambina (proporzionata ai bambini), grande (per accogliere gli amici e le idee), giocosa (con tanti spazi per giocare in libertà), decorata (vivace e colorata), intima (raccolta e con un nascondiglio segreto, dove per potercisi ritirare), tranquilla (silenziosa e senza traffico), magica (che stupisce, creativa e non scontata).
Nel 2000 si passa dalla fase di ricerca alla progettazione vera e propria: viene elaborato un progetto di massima, che viene presentato nel 2001. Nello stesso anno viene assegnato al progetto Coriandoline il prestigioso “Premio Peggy Guggenheim”. Nel 2002 si è giunti alla presentazione del progetto urbanistico e alla rielaborazione di quello architettonico; nel 2003 sono iniziati i lavori di costruzione; nel 2008, è stato inaugurato ufficialmente il progetto.
Nel suo insieme il quartiere Coriandoline è composto da 10 appartamenti e da 10 abitazioni unifamiliari oltre ad un piccolo centro di documentazione e di aggregazione sociale (l’Officina dei coriandoli): è un luogo unico e speciale, rispondente alle esigenze abitative delle famiglie e dei più piccoli. Le case sono tutte diverse, di tanti colori e ricoperte di disegni; le finestre sono sostituite da grandi vetrate; i campanelli decorati con tutti i nomi degli abitanti della casa (bambini e gatti compresi, e non solo il cognome), e nella casa torre, oltre all’ascensore, c’è uno scivolo vicino alle scale.
Ancora oggi, questa esperienza continua a ricevere riconoscimenti dal mondo: nel 2014 Andria ha partecipato al concorso European Responsible Housing Award 2014, presentando il progetto Coriandoline nella categoria “Governance e rapporto con gli stakeholders coinvolti”, relativa ai percorsi partecipati che coinvolgono le famiglie nella progettazione e gestione. Il progetto è stato poi selezionato tra i 5 finalisti, ha ottenuto la Menzione d’onore ed è stato inserito nel “Libro d’oro 2014” delle buone pratiche. Questo perché nell’esperienza di Coriandoline, come si legge nel sito, la partecipazione è concepita come un “percorso organizzato nel quale ogni soggetto interviene per le proprie competenze in modo autorevole e riconosciuto […] ai bambini è stato chiesto di essere, bambini e non adulti o architetti”, e le loro proposte sono state ascoltate, discusse, accettate con valore e interesse. Gli imperativi del progetto sono imparare a lavorare in gruppo, confrontarsi ed argomentare le proprie ragioni e ascoltare quelle altrui; essere curiosi, cercare sempre nuovi possibili risposte; dialogare; giocare, divertirsi, appassionarsi; entusiasmarsi, sognare; impegnarsi, approfondire, lavorare intensamente, responsabilizzarsi; verificare, rilevare aspetti positivi e confermarli, individuare punti di debolezza e correggerli; riflettere; interpretare; interfacciare tanti saperi; disporre di risorse; darsi tempo. Ma l’ “atto più rivoluzionario della ricerca” è stato quello di “attribuire importanza, legittimità ed interesse ai contributi e alle idee dei bambini” attivando una forte e autentica pratica di ascolto. Così i più piccoli sono cresciuti in un ambiente che testimonia come sia possibile partecipare: sarà più facile per loro diventare cittadini adulti responsabili e attivi, proprio perché hanno fatto esperienza diretta e pratica dei processi partecipativi, costruendo, dai primi anni di età, il proprio quartiere; cresceranno con l’abitudine della partecipazione come metodo di governo, come modalità per raggiungere decisioni condivise e ragionate.
Soggetti “deboli” o interlocutori fondamentali?
L’esperienza di Coriandoline si muove nella direzione della democrazia partecipativa, dove è strategico studiare e realizzare strumenti di partecipazione e inclusione delle categorie solitamente escluse dai tavoli decisionali. Quindi anche dei minori di età, proprio perché caratterizzati da un doppio rischio di esclusione. Il primo è legato alla questione della cittadinanza: bambini e adolescenti, sebbene in possesso della cittadinanza legale, sono esclusi dagli strumenti partecipativi della democrazia rappresentativa, dal momento che non hanno raggiunto la maggiore età e quindi non godono dei diritti politici, ma solo di quelli civili e sociali. Il secondo è legato alla questione della debolezza: i minori appartengono alle cosiddette “categorie deboli” (così come stranieri, anziani, malati, tossicodipendenti, senza tetto, poveri, donne), sebbene nel loro caso tale condizione sia transitoria e destinata ad estinguersi naturalmente con il raggiungimento dei diciotto anni. Se è vero che i minori sono “soggetti deboli” perché non possono votare e perché esiste un bisogno oggettivo di protezione e assistenza, essi acquistano notevole importanza nel modello della democrazia partecipativa: basandosi, questa, sulla valorizzazione dei saperi, delle capacità, delle opinioni e del rapporto con il territorio dei soggetti interessati, la loro debolezza si può tramutare in forza. La democrazia partecipativa, infatti, mira ad includere i soggetti che sono maggior rischio di esclusione: proprio per questo essa riesce a completare le inefficienze della democrazia rappresentativa che, escludendo i “deboli” dai circuiti decisionali, non riesce a creare politiche pubbliche efficaci perché non rappresenta totalmente i bisogni di una comunità. Aggirando il requisito della maggiore età, e in un certo senso proponendone un superamento concettuale, la democrazia partecipativa arriva a considerare e raccogliere anche gli interessi dei minori, dialogando e dando risposte ai loro interessi. In decisioni complesse che riguardano le politiche di welfare, i bisogni sociali della collettività, alcuni settori dell’assistenza sociale e sanitaria, dell’istruzione, i minori diventano interlocutori preziosi, quindi “forti”, proprio in virtù dell’importanza dei loro saperi e dei bisogni di cui sono portatori, che altrimenti rischierebbero di rimanere fuori dai circuiti decisionali e dalla costruzione delle politiche pubbliche.
La partecipazione dei minori al contesto sociale e politico può costituire una risorsa molto importante per il territorio, perché ognuno, con le sue specificità e capacità personali, se messo realmente nella posizione di incidere sulle decisioni politiche finali, può innescare e determinare un cambiamento, attraverso forme di progettualità innovative e originali, finalizzato alla creazione di società inclusive, coese, sostenibili, democratiche e, anche, “a misura di bambino”.
Foto di copertina: Turismo Emilia Romagna, via flickr